Tecnologia UV – Parte Seconda

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Tecnologia UV: gli impianti “low energy” e la nuova frontiera dei led -Seconda Parte-

Come già anticipato, riprendiamo l’articolo sulla tecnologia UV tratto da “il Poligrafico”, scritto da Piero Pozzi, e proseguiamo con l’approfondimento soffermandoci sui vantaggi dell’utilizzo, fino ad arrivare ad un confronto tra la chimica degli inchiostri e delle vernici UV rispetto agli inchiostri oleoresinosi.

Per chi volesse leggere anche la prima parte qui sotto può trovare il link all’articolo.
 
L’utilizzo della tecnologia UV si sta sempre di più affermando in tutte le applicazioni di stampa: offset, a foglio e bobina, flexografica, tipografia, serigrafia, sia in piano che in bobina, nonchè nella verniciatura in-line e off-line.

Onde elettromagnetiche

L’ambiente nel quale viviamo è esposto quotidianamente a un ampio spettro di onde elettromagnetiche. Le più conosciute sono: i raggi X, gli ultravioletti, la luce visibile, gli infrarossi. Queste onde sono caratterizzate da una specifica lunghezza d’onda, espressa in nanometri (nm). Lo spettro UV è compreso tra 100 e 380 nm, infatti il processo fotochimico richiede lunghezze d’onda emesse tra 180 e 380 nm. Lo spettro UV è diviso in tre parti:
UV-C (100–280 nm): queste onde trasportano la più alta quantità di energia. In passato si pensava che fossero essenziali per la polimerizzazione, infatti esse garantivano una completa polimerizzazione. Come vedremo più avanti, i sistemi più moderni usano lampade dove la componente UV-C è assente.
UV-B (280–315 nm): queste onde aiutano ad estendere la reazione fotochimica e grazie alla lunghezza d’onda più lunga consentono penetrazione più profonda nel film d’inchiostro.
UV-A (315–380 nm): queste onde, molto vicine alla luce visibile, sono responsabili dell’abbronzatura della nostra pelle. Nel nostro caso esse completano la polimerizzazione superficiale del film di inchiostro o vernice.

Le lunghezze d’onda più corte, da 100 a 280 nm, sono le più dannose. In questa fascia abbiamo la produzione di ozono, un particolare tipo di ossigeno che ha un potere molto ossidante. L’UV-C è addirittura utilizzato nei processi di sterilizzazione, per il suo potere altamente germicida.
Per evitare questi problemi si sono sviluppati particolari sistemi di polimerizzazione, dove le lampade UV non emettono più queste lunghezze d’onda. Il risultato è un raggio UV più freddo, senza emissione di ozono, e sicuramente più sicuro per l’utilizzo.
Da queste considerazioni risulta evidente che lo spettro di emissione delle lampade è strettamente correlato alla formulazione degli inchiostri e delle vernici, specialmente nella scelta dei fotoiniziatori e degli additivi.

UV e convenzionali a confronto

La chimica degli inchiostri e delle vernici UV è estremamente diversa da quella degli inchiostri oleoresinosi. 
Se confrontiamo le formulazioni degli inchiostri UV con quelle convenzionali vedremo che nella loro struttura sono simili. Entrambi sono costituiti dall’unione di due componenti fondamentali: i prodotti coloranti (pigmenti) e i veicoli.
Ma se i pigmenti sono praticamente gli stessi, cambiano sostanzialmente i veicoli. Nell’UV i veicoli sono costituiti da resine acriliche e monomeri, nei convenzionali da resine e diluenti, minerali e/o vegetali. Nell’UV non esiste niente di naturale o vegetale, tutti i componenti base, a parte i fotoiniziatori, derivano dall’acido acrilico. Questo è un liquido trasparente e dall’odore acre; è miscibile con acqua ed è solubile negli alcool e negli eteri. Viene prodotto da un gas, il propilene, di derivazione petrolifera. Questo acido è la base per produrre svariate materie plastiche.
I pigmenti utilizzati nell’UV devono avere caratteristiche di resistenza chimica, resistenza al calore, alla luce.

I fotoiniziatori

I fotoiniziatori sono responsabili dell’innesco della reazione di polimerizzazione. Sono degli additivi sensibili alle varie lunghezze d’onda. La reazione di polimerizzazione è un processo fotochimico. Esponendo l’inchiostro o la vernice ai raggi UV istantaneamente si trasforma da liquido a solido. Il film risultante è comparabile a un film plastico.
Il processo UV, raffrontato con inchiostri convenzionali olioresinosi o a base solvente, non ha parti che si perdono in evaporazione o assorbimento da parte del substrato. Il 100% di inchiostro o vernice da umido si trasforma in materiale solido. Questa caratteristica rende la stampa UV particolarmente interessante per la stampa di materiali non assorbenti e soprattutto per imballaggi per uso alimentare.
Negli impianti di nuova generazione, gli inchiostri vengono formulati con particolari fotoiniziatori e sono denominati inchiostri ad alta reattività. Spostandoci verso il visibile, l’inchiostro diventa sempre più sensibile alla luce e quindi instabile. Per questo motivo gli inchiostri ad alta reattività richiedono una particolare attenzione nell’utilizzo per evitare reazioni indesiderate e incontrollate.