Storia e significato del nero
In numerose cosmogonie, il nero rappresenta l’oscurità delle origini, evocatore di quell’informe e caotico vuoto primordiale che contiene tutto quanto verrà alla luce e acquisirà esistenza: nella mitologia egiziana, ad esempio, il cosmo ha avuto inizio dal Nun, il caos primordiale, affine al Te Bo Ma (oscurità) della Micronesia o al Tempo del Sogno della cultura aborigena. Il nero, pertanto, continene una potenzialità generatrice e feconda, un caos originario dal quale può erompere la luce e la vita. Come scrive Jung, esso “è il colore delle origini, degli inizi, degli occultamenti nella loro fase germinale, precedente l’esplosione luminosa della nascita” e, da un punto di vista psicologico, ciò esprime in forma allegorica l’emergere del conscio dal buio dell’inconscio, perchè se la luce appartiene alla coscienza, il buio è l’inconscio, in quanto connesso all’ombra, all’oscurità, alla notte.
Vengono sovente rappresentate con questa tonalità figure tetre, demoniache, entità malefiche e distruttrici: nella mitologia induista, ad esempio, troviamo Kaliya, nero, velenoso e malvagio re-serpente, in quella egiziana Seth, il dio del deserto e assassino di Osiride oppure Lilith, nell’immaginario popolare ebraico, temuta creatura notturna. Il nero, inoltre, esprimendo la passività, la rinuncia, “il limite assoluto dove la vita finisce” diviene anche colore di morte e lutto. Ma mentre quello bianco ha soprattutto qualcosa di messianico, esprime un’assenza da colmare, una mancanza provvisoria, il lutto del nero è principalmente connesso all’espressione del dolore rassegnato, all’angosciata morte senza ritorno, al lutto senza speranza. Esso, dunque, carico di queste valenze, diviene il colore delle potenze tenebrose ed oscure che governano nel regno dei morti, come Ade, Cerbero, il dio Anubi degli egizi, il nero Yama della mitologia induista, la regina degli inferi mesopotamici Ereskigal o la dea Feralis (dea feroce) della mitologia romana, colei che stabiliva l’ultimo istante di vita dell’uomo.
Nell’antico Egitto, il nero era il colore della fertile terra lasciata dal Nilo dopo le inondazioni, il Kemet , mentre presso i Masai del Kenya, questo colore viene associato all’aspetto fenomenico delle nubi gonfie che portano pioggia, diventando espressione di vita e prosperità. Tale significato, inoltre, è riscontrabile anche nelle narrazioni di Omero, dove le profondità dell’oceano venivano descritte di colore nero poichè contenente il capitale di vita latente, la grande riserva di tutte le cose, oppure nella mitologia azteca, dove il dio della medicina Ixtlilton, piccolo nero, usava una magica tlital, acqua nera, come rimedio ai malanni.
Inoltre, in quanto colore di ciò che sta sotto la realtà apparente, il colore delle grotte e dell’oscurità della terra, il nero appartiene anche alle Grandi Madri delle mitologie, nelle loro ambivalenti significazioni di elementi trasformativi e dispensatrici oppure protettivi e divoranti. Tra quest’ultime, ad esempio, troviamo la dea egiziana Nekbet, raffigurata come un nero avvoltoio. oppure la terribile Grande Madre Kali, “vestita di nero cupo come le dee della notte e adorna di mani e teste mozzate delle sue vittime”.
Il colore nero è la negazione del colore per antonomasia e rappresenta il confine che segna la conclusione della fase vitale. Il colore nero, quindi, esprime negazione per la vita futura con conseguente rifiuto a lottare, negazione per la realtà in cui si vive con conseguente ribellione e aggressività. Il colore nero conferisce un senso del sacrificio, tenacia, pessimismo, abnegazione e risolutezza nel perseguire le proprie mete.
Chi predilige il colore nero sostiene che il futuro gli riservi scarse opportunità favorevoli ed è convinto che la responsabilità di tutto sia del mondo in cui vive e della società. Da queste convinzioni recondite, ne consegue un comportamento apparentemente rinunciatario che può sfociare in rabbiose ribellioni.